IL VOLO

Ho scelto solo due brevi articoli: Il "Manifesto" perché è stato il primo ad essere pubblicato, la "Splendida giornata" perché è quello che mi è più caro.

Spero che l'amico Luigi Aprile, allora direttore, redattore e fac-totum di questa piccola pubblicazione non se ne abbia a male. Non so più dove è finito, non so neanche se dovrei chiedergli l'autorizzazione per rimettere in giro queste vecchie cose, che peraltro erano mie e concesse gratuitamente.

I tempi del volo hanno lasciato in me un ricordo indelebile ed un rimpianto doloroso, ma si sa che la vita ci porta a volte verso nuove ed imperscrutabili direzioni.

 

L'altra metà del cielo, una rubrichina di mezza pagina, era stata una mia idea, e ringrazio ancora il direttore per avermi dato l'opportunità di portarla avanti per tanti numeri.

Il manifesto delle donne pilota

Da Ultra Light - Novembre 1984

Lettera aperta a tutte le mogli, fidanzate, amiche, sorelle. ecc. dei piloti di ultraleggero.

 Molti anni fa, una dozzina direi, avevo un ragazzo esagitato, che non si accontentava del cinema alla domenica ed una pizza con gli amici.

Allora non avevo nemmeno una vaga idea di poter volare, e tantomeno pilotare un ultraleggero. Ero una ragazza tranquilla, mi piaceva leggere, ascoltare la musica, magari andare qualche volta a ballare. E questo mio ragazzo ne aveva sempre una nuova. Come minimo era una gita in moto a 180 all'ora, quando non era pattinare, sciare, nuotare, cavalcare, tuffarsi da trampolini giganteschi, andare sott'acqua a 50 metri di profondità o restare appesi fuori da una barca a vela. Ed ogni volta erano litigate furiose, perché per me non c'era molta scelta: o restare a casa, o cavalcare la tigre.

Come è finita? " L'hai piantato", direte voi. No, ci ho preso gusto. E l'ho sposato. Oggi sono io che trascino lui, e la vita mi sembra sempre piu piena e divertente. Da un po' di tempo abbiamo scoperto il volo con l'ultraleggero, che è senz'altro la più emozionante ed entusiasmante attività sportiva che io abbia mai provato. E con calma sto imparando a pilotare il nostro biposto. Perché una donna può fare tutto, se vuole. Non solo restare ad aspettare. Perciò colleghe, diamoci da fare. Ultra Light ci mette a disposizione questo spazio: facciamo sentire la nostra voce.

 

 

Questo pezzo è il mio preferito, perché, pur nell'imperfezione stilistica, riesce ugualmente a spiegare cosa ha significato per me volare.

E' UNA SPLENDIDA GIORNATA INVERNALE

Da Ultra Light - Gennaio 1985

 

Il cielo sereno, blu intenso allo zenit, sfuma sempre più chiaro, quasi paglierino all'orizzonte. L'aria fredda pizzica il naso, quando arriviamo al campo. Ci scaldiamo montando in fretta l'aereo. Per una volta tanto siamo soli. Niente clienti, allievi, curiosi. Oggi si vola per puro piacere. Un bastardino nero si avvicina timoroso, annusa i tubi per terra, che sono ansiosi si essere montati, di diventare le nostre ali. Anche noi siamo ansiosi. Maneggiamo velocemente, se pure con la solita pignoleria, i pezzi metallici che via via prendono forma. Un ultimo sguardo di controllo indossando le calde tute da montagna. Tiro forte la cordicella ed il motore si avvia, il nostro grande uccello colorato prende vita, freme d'impazienza di tornare nel suo elemento. C'è una leggera brezza da nord, tesa e continua. Come i gabbiani sulla scogliera, anche il nostro uccello punta il becco contro vento e si prepara a volare.

Marco mi guarda alzando il pollice, io alzo il mio e di nuovo si avvera il miracolo: siamo in aria, siamo staccati dalla terra che si allontana sempre più. Ogni volta è come la prima volta. Sembra sempre impossibile: si sente forte il vento addosso e siamo già su. Un'ampia virata sopra il campo, e il bastardino nero ci abbaia furioso. Ma ormai siamo alti, vediamo nuovi orizzonti, lasciamo giù le piccinerie, i compromessi, le seccature. In aria c'è un solo modo di comportarsi: quello giusto. Mi godo l'orizzonte con un sospiro di sollievo che viene proprio dal fondo, come dopo un pianto calmato con la tenerezza. È troppo dolce e rilassante ed eccitante nello stesso tempo.

La visibilità eccezionale che questa bella giornata ci ha dato mi fa scorgere tutta Milano, come un prezioso gioiello cesellato in oro e argento, con le gemme abbacinanti al sole ancor basso. Peccato che non si possa volare di là. Andiamo a nord invece, passando sopra i campi di feltro grigio, nero o marrone. Ed ecco le grandi corsie della superstrada, come un sentiero di formiche processionarie, che viste da fuori sembra vadano avanti e indietro senza uno scopo. Mi verrebbe voglia di interrompere la fila con un dito, come facevo da bambina, per vedere lo scompiglio. Si intravede già il parco di Monza, una grande isola verde in mezzo alle casette. Un colpetto sul braccio mi riscuote dalle fantasticherie. Tocca a me pilotare ora. Prendo la cloche e la manetta, ed ora sono veramente tutt'uno con il mio aereo. È facile oggi, abbiamo una certa quota e siamo fuori dai pericoli. Il vento è leggero, niente termiche, praticamente vola da solo. Basta tenere d'occhio i campi, sotto, e l'anemometro. Però non mi posso più distrarre, anche se so che il mio copilota è sempre all'erta, pronto a correggermi. Infatti mi fa un ampio gesto con il braccio. Torniamo. OK, ho capito. Mi inclino dolcemente verso sinistra ed imposto la virata. Chissà perché mi riesce sempre meglio la virata a sinistra. Ora punto verso casa, cioè il nostro campo. Comincio a sentire un po' di freddo. Penso al the caldo nella borraccia, che aspetta in macchina. Forse, nel frattempo sono arrivati gli amici con i loro aerei, diversi anche se uguali a noi. Quando siamo sopra la pista, cedo la cloche. Non ho voglia di concentrarmi troppo. Ci sono due ali sull'erba stenta, ai bordi del prato, e degli gnomi affaccendati intorno. Un giro, un otto e ci posiamo dolcemente anche noi.

 

 

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